“Andare all’estero per motivi di studio o di lavoro dovrebbe essere una scelta, non sempre è così purtroppo. Non smettiamo di pensare che senza giovani non c’è futuro”
I dati contenuti nella XII edizione del “Rapporto Italiani nel mondo”, della Fondazione Migrantes, parlano chiaro: 50mila giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni, con un incremento del 23,3 per cento rispetto all’anno precedente, hanno lasciato l’Italia per motivi legati a studio o lavoro.
Questo dato va analizzato da diversi punti di vista. Non sempre è corretto, infatti, parlare di “fuga dall’Italia”, che certo può essere una efficace sintesi giornalistica; la verità è che i nostri giovani spesso scelgono di andare all’estero per provare nuove esperienze, migliorare la propria formazione, conoscere o perfezionare una nuova lingua e scoprire nuovi orizzonti.
Quando si decide di andare all’estero, è certamente per un miglioramento personale e professionale che soddisfa le proprie esigenze di ulteriore crescita culturale e al tempo stesso può essere utile nel lavoro e nella vita.
Altra cosa è, invece, spostarsi per cercare l’eccellenza universitaria che l’Italia solo in pochi casi riesce a offrire ai nostri ragazzi, oppure per un’offerta di lavoro adeguata alla propria preparazione e ai propri sogni, perché il mercato italiano non è nelle condizioni di offrire quelle gratificazioni, anche economiche, che si meriterebbero.
Ecco che, se da una parte dobbiamo spingere i nostri giovani a fare delle esperienze all’estero, dobbiamo anche incentivarli a tornare in Italia, perché è qui che li abbiamo formati ed è all’Italia che appartengono. C’è davvero tanto da fare per offrire maggiori opportunità, a partire da borse di studio mirate a favorire la scelta universitaria fino all’abbattimento del costo del lavoro, affinchè gli imprenditori siano spinti ad assumere chi è senza esperienza. Qualcosa, a furia di parlarne, forse sta cambiando, ma c’è davvero ancora tanto da fare.
Non smettiamo di pensare che senza giovani non c’è futuro. E se l’attuale governo sembra avere preso coscienza della necessità di una politica incentrata sulla valorizzazione dei nostri giovani, sappiamo che non può bastare una detassazione provvisoria alle imprese che assumono.
Si devono trovare risorse per benefici e stimoli ben più consistenti, spostando lo sguardo dalle scelte per lo più conservatrici dell’esistente a una visione di più ampio respiro che produca un cambiamento strutturale della nostra società.
Un equilibrio che riduca l’attuale gap generazionale e lasci ai padri e ai nonni il ruolo affettivo indispensabile nei rapporti famigliari, senza che siano tagliate le ali al volo libero e consapevole che una società di pari diritti deve sapere garantire ai propri giovani.